Carla Bozulich ha gli occhi di
un animale atterrito, gli occhi che hanno tutti quelli a cui la vita è passata
attraverso come un fendente; eppure o forse proprio per questo la sua dolcezza
è irresistibilmente accogliente, come un abbraccio doloroso che sorprende chi
frequenta da anni la sua cupa rabbia condensata in musica. Meticolosamente ma
con garbo attende agli obblighi del soundcheck e dopo cena la rapisco,
sottraendola al formicaio buio che precede lo show nella sala rinascimentale.
Io la immagino indurita dall’esistenza e dalle frustrazioni del music business
maschile, aggressiva e sguaiata come Lydia Lunch o come una Riot Grrrl in
versione newyorkese, e mi armo di domande di una professionalità inattaccabile;
devo invece arrendermi alla sua voce triste e quasi antica, agli sguardi
vibranti che sferra durante la nostra conversazione e all’inesauribile flusso
di confessioni che ci ritroviamo a scambiare.
Hai definito Boy un disco pop, dato che include canzoni con strofe
e ritornelli. Vorrei che spiegassi la tua personale concezione di ciò che è
pop, ovvero in che misura consideri Boy un disco pop.
Gran parte della musica che mi
piace non è nemmeno cantata, o non ha percussioni. Per me la definizione di pop
non è molto ristretta, non devono accadere molte cose prima che la musica sia
“pop” per me: avere delle linee vocali, una traccia di strofa e ritornello, un
ponte, una melodia. Non tutto quello che ascolto ne ha una, quindi forse è la
melodia il possibile ingrediente basilare per il pop. Se non ci sono note che
puoi cantare e se non c’è una qualche relazione armonica tra loro, non puoi
avere il pop; e anche un ritmo prestabilito, un ritmo…
Una battuta che puoi seguire.
Sì, esattamente. Questi
elementi per me sono presenti nel nuovo disco, e sono molto orgogliosa di aver
sviluppato alcune idee, ma penso anche che, per la maggior parte della gente,
queste cose sono parte integrante della musica, non sono un punto di partenza
ma sono lì, sono sempre state lì. Quindi credo che, in un certo senso, la mia
intenzione sia stata affermare qualcosa di importante: c’è così tanto là fuori,
così tanto nel mondo, non appena esci dai confini della musica occidentale per
esempio, che molti di questi pregiudizi semplicemente volano via dalla
finestra. È stato questo l’intento, insieme alla volontà di dedicare il disco
in molti sensi ai ragazzi che ho conosciuto quando ero giovane a Los Angeles e
frequentavo un ambiente piuttosto difficile; molti di loro erano gay e durante
gli anni Novanta molti morirono di AIDS. Se ascolti i miei dischi precedenti,
puoi sentire afflizione e dolore, e in gran parte sono sentimenti per quei
ragazzi ma non solo per loro; quindi ho deciso di fare questo disco con più
canzoni perché loro amavano le canzoni, non volevano starsene seduti a piangere
ma volevano ballare. Io non sono molto brava in questo ma ho fatto del mio
meglio: alcune canzoni sono tristi, ma ho provato anche a scrivere qualcosa di
cui avrebbero potuto ridere. Alcuni momenti del disco, che io penso siano
divertenti, per altre persone sono molto oscuri e terribili, ma io sono
realmente convinta del contrario: se dico “voglio mandare a puttane il mondo
intero”, per me è divertente, ma molta gente pensa sia cupo e forte e la
maggior parte delle donne non lo direbbe. Ma io ho scritto questo disco
principalmente a causa del mio sentire nei confronti di questi ragazzi, che è
cambiato: non è tutto perfetto ora ma non sento più che mi sta uccidendo
dentro, non sento questo dolore in modo così diretto che non so cosa fare e
piango, non sta accadendo ora, non piango per loro; provo solo a concentrarmi
sulla loro celebrazione. Credo che sia comunque un disco molto triste ma per
me, quando lo ascolto, non è esattamente così.
Pensi che celebrarli con
canzoni di questo tipo sia un modo migliore di ricordarli, piuttosto che
continuare a piangere?
Loro non vorrebbero che io
piangessi. Quei ragazzi volevano ballare, divertirsi, avevano tatuaggi,
andavano in giro con un look fantastico: questa è Los Angeles, una festa. La
prima canzone del disco, Ain’t No Grave,
è per loro: nessuna tomba può contenerti, non morirai mai, sei vivo e sei una
stella; ecco com’erano questi ragazzi. Volevo conservare il loro ricordo come
avrebbero voluto: anche quando erano malati, continuavano a vivere a modo loro
e a mettersi in mostra, a decolorarsi i capelli e, benché non stessero affatto
bene, si sforzavano di mettersi addosso qualcosa di carino e uscire.
Quindi loro non…
Non si arresero! Nel disco c’è
una canzone, Danceland, che è una
celebrazione di quel periodo e dei miei amici che ballavano tutta la notte, di
quella particolare scena punk. A quei tempi già non prendevamo più droghe
quindi era piuttosto interessante: eravamo totalmente decadenti e folli ma non
perché prendessimo droghe a tonnellate. Molti nemmeno sanno perché il disco si
intitola Boy; per me non è un
disco triste, ad eccezione di una canzone, Drowned to the Light, che non è per i ragazzi: è per le ragazze ed è davvero
fottutamente triste. Qualcuno a Los Angeles lo ha definito “il suo disco più
triste”…sicuramente non hanno ascoltato i miei altri dischi!
Quindi credi in qualche modo
di essere sopravvissuta a quel periodo, mentre altri non ce l’hanno fatta? Ti
senti così qualche volta?
Nemmeno mi accorgo di
spingerla a una confessione diretta, ma quando la sua voce si abbassa comprendo
che ci siamo inoltrate in una catabasi senza ritorno. Sì, decisamente. Quando ero adolescente avevo gravi
problemi di droga e frequentavo persone che erano esattamente come quelle che
vedi in TV e queste persone sono morte, sono tutte morte, tutte morte. Erano
miei amici, alcuni erano tipi a posto, la maggior parte non lo erano e alcuni
erano le persone peggiori che potresti incontrare. Ma sono tutti morti. Il
fatto che io ne sia uscita senza prendermi l’HIV o l’AIDS è inspiegabile.
Dall’altra parte, mi sono ritrovata a guardare i miei amici ammalarsi mentre io
ne ero già fuori, avevo abbandonato i comportamenti rischiosi, usavo il
preservativo e avevo fatto test per qualsiasi cosa, sapevo che non sarei morta
nel modo in cui loro stavano morendo…Scusami se parlo così tanto della morte!
Non è un problema, la
rassicuro; e le spiego che ha di fronte una persona convinta che questo sia
l’argomento più importante di cui si possa parlare, non solo in riferimento ai
contenuti e alle fonti di ispirazione del suo disco.
Io mi ero già salvata da
quello, non mi sballavo più, non bevevo, non facevo più sesso non protetto;
quindi il periodo a cui ero sopravvissuta si era concluso, mentre guardavo i
miei amici non sopravvivere, ed è stata dura. Quando dico che c’è una canzone
davvero triste nel nuovo album è vero, ma è differente perché non si tratta di
me, non è autobiografica e non riguarda nemmeno i miei amici; è una canzone per
le donne che sperimentano la situazione in cui sei costretta a scegliere,
quando sei incinta e devi scegliere. È davvero la cosa più merdosa sulla faccia
della terra per le donne, la peggiore di tutte, dover passare attraverso questo
e superarlo, continuare a uscire e andarsene al lavoro…perciò questa cosa che
ho scritto non è per me, io non devo prendere questa decisione ora, non
prenderò questa decisione ancora di nuovo nella mia vita, l’ho fatto quando ero
piuttosto giovane ma non è per me, non è per quella ragazza, non sto ricordando
me stessa. Quello che faccio è riflettere sullo stato delle cose negli Stati
Uniti, c’è quasi una guerra con le persone che vogliono impedire alle donne di
essere in grado di scegliere che cosa fare del proprio corpo; queste persone
hanno creato una situazione assolutamente negativa, e c’è da aspettarsi che
cercheranno di influenzare il governo e la legislazione per determinare quando
un feto è vivo, a quale numero di giorni, a quale numero di momenti. Quindi,
per combattere contro tutto ciò, devi dire “Mi opporrò a questo, andrò contro
di loro”, e dire “Tu non puoi scegliere per me”. L’unica arma per scegliere è
affermare che non è in vita, o perderemo questa guerra, perché hanno messo il
discorso in modo tale che se dici che è vivo allora sei fottuta, non puoi
scegliere perché secondo loro non puoi portare via questa cosa. Questo è il
problema della donna nella canzone: lei non può dire “non è vivo”, non può dire
“non posso tenerlo”, non può dire “posso sbarazzarmene”, non può dire nulla.
Non parla di me, ma della mia compassione per le donne: sento che le donne in
moltissime situazioni sono messe nella condizione di dover camminare attraverso
la vita dicendo “Sì, va tutto bene, non ho questo incredibile dolore nelle
viscere…”. Rispetto a questa questione, anche nell’ambito sessuale, devono
semplicemente comportarsi come se andasse sempre tutto bene…
Perché altrimenti ti accusano
di essere…
Molte cose… prima di tutto non
sexy, o…
…O lesbica…
Sì… quindi penso che, mentre
la mia vita si allunga un po’, è opportuno scrivere in modo più specifico di
certi argomenti. Ho sempre scritto riguardo questo rapporto, questa particolare
dinamica che c’è tra l’essere donna e il nostro posto nel mondo ma non in modo
molto specifico.
Non da un punto di vista
politico, in senso stretto.
Esatto! Mi piacerebbe poter
realmente parlare alle persone, in modo da far capire loro quanto sento la
questione dei diritti civili e dei diritti delle donne e dell’opposizione al
razzismo, insomma tutte le cose che per me sono così importanti; ma ciò che
finisco per fare è cantare di una persona che si rapporta a un’altra persona e
cosa riescono a trovare tra di loro o non trovare… e questo è tutto quello che
riesco a fare.
Penso che il tuo esempio
personale come donna e come artista, il modo in cui tu parli degli individui e
non per casi generali, è una grande dimostrazione di come si possano trattare
tematiche politiche senza affrontarle da un punto di vista necessariamente
collettivo, ma andando direttamente alle esperienze concrete.
È quello che spero. Voglio
dire, sento che qualche volta, mentre canto in una stanza, tutto ciò che voglio
è creare una specie di ponte, soprattutto per le donne ma non solo per loro…
per quanto mi riguarda mi sento piuttosto mascolina come persona e capisco
molte cose degli uomini e quanto sono di merda; quando mi relaziono a loro
posso vedere un uomo comportarsi come un completo coglione. La prima canzone
che faremo stasera è tratta da un mio vecchio disco, Red Headed Stranger, ed è una canzone di
Willie Nelson: parla di questo tizio, che è in preda a una frenesia omicida a
causa della sua gelosia insana; puoi sentirmi cantare in una parte, “He cried like a baby, and he screamed like a panter
in the middle of the night, and he seddled his pony and he went for a ride”. Gli uomini sono tanto fragili
quanto le donne ma per loro è peggio perché è davvero imbarazzante… sento molta
compassione per la gente, sai cosa intendo?
Pensando alle esperienze
passate, credo che per me crescere significhi essere meno intransigenti con se
stessi prima di tutto, e poi con gli altri. Quando ero più giovane non avevo
compassione né per me né per gli altri, ma penso faccia parte della fase in cui
uno costruisce la propria personalità, da adolescente; quando si cresce, si
cerca di essere più comprensivi, più dolci forse…
Per me è così. Ma, d’altro
canto, non ho più pazienza. Posso vedere la cosa in diversi modi ma sento che,
avendo vissuto minimo metà della mia vita, sono comunque una persona molto
arrabbiata, nel senso che quando vedo qualcuno sopraffare qualcun altro non
riesco a passarci sopra dicendo “oh, ma cosa puoi farci?; la gente reagisce
così e anche io mi sono sentita in questo modo a volte, mentre ora mi sento più
“beh, vai e prendili a calci in faccia”. Ora,
per esempio, c’è un buco nella sala vicino al palco, e io ho detto al nostro
booking agent: “Dovresti fare qualcosa perché se la gente si mette lì in piedi
a parlare non so dirti cosa farò, non so cosa potrei fare”, e lui “non fare
nulla, prova a non farci caso…”. “Amico, voglio dire IO NON SO cosa potrei
fare, non so cosa potrebbe venire fuori da me verso di loro”. Non ho troppa
pazienza per molte cose. Mi sento più sopraffatta dalla bellezza e dall’amore;
sono davvero impressionata quando le persone riescono a fare qualcosa di
difficile per loro, soprattutto essere audaci o fare un passo avanti compiendo
qualcosa che implica correre un rischio con il proprio spirito o il proprio
cuore. Voglio dire, se sei timido e fai una piccola cosa, per me quella piccola
cosa è enorme: vedere qualcuno fare un po’ di più di quanto si sentirebbe in
grado di fare, questo è più che volare sopra l’intera piazza; le persone timide
sono le mie preferite, io ero piuttosto timida da giovane, mi sono sentita
davvero inferiore come persona da quando ero bambina, quindi quando vedo una
persona timida – ti accorgi quando qualcuno pensa “Io non sono bello” o “Non
sono attraente come tutti gli altri” o non si sente a posto – io amo queste
persone, le vorrei semplicemente abbracciare e portarle a ballare.
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