martedì 5 novembre 2013

Intervista post-concerto con John D. Raudo aka Nico - Marnero. (03/11/2013, Rutigliano)


3 Novembre 2013. Il mio primo live dei Marnero.
Officine Ufo, Rutigliano. La location è quella di una chiesa, profanata egregiamente attraverso la musica. In apertura i Pastel, duo screamo/postpunk.
L'audio non è dei migliori, c'è elettricità ovunque, letteralmente; tanto che a cantare, ci si prende la scossa davvero. "Quindi tutto bene, dai, a parte la vita". Ma la vita, oggi, va decisamente meglio, e il live inizia. Me lo godo a pieno, sono attenta nonostante le parole non siano chiarissime.
Terminato tutto, raggiungo Nico che sorseggia una birra vicino al banchetto dei dischi, e gli chiedo di parlare un po'. 
(ringrazio Annachiara e Andrea per il supporto-audio)

Ok, Nico, partiamo. 

I: I Marnero sono un po’ la Fenice risorta e rinata più volte dalle ceneri, se pensiamo ai Laghetto, ai Graad, agli Ed. Con quale istinto nascono?


Nico: Bhe, l’unica cosa che sappiam fare, la facciamo. Nel senso: non siamo un gruppo che sceglie il genere musicale da fare o magari ascoltiamo un gruppo americano (a caso) che ci piace e ci mettiam lì a suonare. Praticamente, io soprattutto, so suonare solamente le cose che scrivo. Se mi chiedi di far musica di altri, non la so fare, perché non conosco la musica. Per me è proprio un bisogno forte di tirar fuori delle robe da dentro che mi opprimono e mi angosciano, e se le metto lì sul tavolino sto meglio; poi, se altri le guardano, le vedono, mi fa piacere, ma se non accade non mi cambia niente. Quindi, parte tutto con l’istinto di far le cose per sé, per provare, durante la settimana, ad anestetizzare delle rabbie, delle pulsioni che potrebbero essere nocive nella società e catalizzarle in una roba innocua che a volte, potrebbe far piacere anche agli altri.

I: A questo proposito qual è la tua posizione riguardo le cover band? Cosa ne pensi?


Nico: Mah, non mi interessano, nel senso: le persone che sanno suonare fanno bene a suonare i pezzi dei gruppi che hanno fatto delle belle canzoni, cioè, se non sanno scrivere canzoni più belle, tanto vale suonare i pezzi dei Pink Floyd; ci son stati i Pink Floyd, se devi scimmiottare i Pink Floyd, tanto vale suonarli direttamente. Certo, se devi fa’ le cover di Alex Britti, non lo so…

I: Qui ci sono anche cover band di Checco Zalone o Modà, eh!

Nico: Checco Zalone? Modà? Non lo so, ci sono vari tipi di modi di far le cover, in realtà. Ci sono quelli che lo fanno per imparare a suonare e poi passano a pezzi loro, o quelli che lo fanno perché li pagan bene; se suonano nei bar, danno tantissimi soldi alle cover band. Facendomi questa domanda è come chiedere, ad uno che gioca a pallanuoto, cosa pensi del freeclimbing: non lo so, non è il mio sport. Però posso dirti che sono un fan del karaoke. Voglio organizzare un gruppo di cover-punk-di karaoke; cioè, sono cover ma non c’è il cantante poiché sarà il pubblico a cantare.


I: Recentemente, in un’intervista ad Indiepercui, hai parlato di un viaggio in Sud America. Quanta importanza ha il “vagare”, l’errare e l’errore, nel disco? È fondamentale perdersi per sopravvivere e quindi imparare ad adattarsi all’incertezza?

(Riproponendo a Nico questo interrogativo, abbiamo sottolineato il “momento pippone” sorridendo con allegria et imbarazzo, prima di riprendere l’intervista. C’è la consapevolezza che sì, la domanda è un bel po’ marzulliana.)


Nico: Ti ringrazio, ho scoperto che sei la nipote di Marzullo!
L’errore dev’esserci, per forza. L’errore è l’unica cosa che crea movimento. Quando qui parliamo di fallimento, lo consideriamo un concetto positivo, che crea l’azione, movimento. Conosci il gioco del quindici, dove devi star lì a spostare i pallini? Bhe, se c’è un vuoto che dev’essere riempito, si crea movimento. Se fosse tutto pieno, se non ci fosse quel vuoto, ci sarebbe stasi. L’errore fa questo: fa sì che tu ricominci da zero, che tu ti metta in dubbio. Fa sì che tu pensi che forse, tutto quello che hai sempre fatto o eri convinto di dover fare, forse non era il caso di fare, forse era sbagliato, non era in realtà quello che dovevi fare.
Il fallimento è sempre un girare la pagina. Girar pagina è sempre positivo. In realtà le cose si fanno per poter anche fallire; nel momento in cui falliamo, sappiamo di aver fatto quella cosa, altrimenti non inizieremmo nemmeno. L’errore è assolutamente il motore delle cose, per me. Il vagare, errare, bhe, è fondamentale: rimanere fissi nello stesso punto non va bene, ma non va bene nemmeno percorrere percorsi prestabiliti da altri che siano la società, la religione, i nostri genitori, la generazione precedente alla nostra, le leggi, quello che ti pare; qualsiasi percorso prestabilito, che hanno deciso per te, comunque non è il tuo percorso; perciò devi vagare un po’ al buio, perdere completamente la strada per poi capire qual è la tua, qual è la strada che tu vuoi fare. Anche questo è il fondamento portante di una teoria più grande che è poi quella dell’autodeterminazione, cioè, bisogna rompere le catene di quello che ci è stato imposto da una serie di gabbie in cui cresciamo.

I: C’è una specie di dicotomia tra la terra e l’acqua, due elementi quasi indispensabili l’uno all’altro., se penso anche al ghepardo della traccia 3, un animale prettamente terrestre, al suo correre, al suo essere predatore solitario, a volte notturno. C’è un’associazione alla “caduta” di predatori “umani” o una relazione con la fuga in generale?

Nico: Bhe, non vorrei deluderti, ma “Non Sono più il Ghepardo di una Volta” viene da un video del Piotta: (per intenderci, ecco lo sketch ) c’è Valerio Mastandrea con un altro attore caratterista romano, di cui non ricordo il nome, con gli ori e la camicia aperta, attorniato da cinquantenni che lo corteggiano e che esclama: < non so’ più er ghepardo de' 'na volta & per una volta mi permetto di dire che non ho mai pensato a tutte ‘ste cose, visto che mi tacciano sempre di esser cervellotico e rompicoglioni. Nel senso, è un modo di dire: non sei più il ghepardo di una volta, quel grande personaggi che ti ricordi di esser stato nella tua malinconia! Ma non lo sei mai stato! È solo la costruzione della tua realtà che dice: “si stava meglio quando si stava peggio”, “era meglio ieri”, “l’anno scorso era meglio”, “l’anno prossimo sarà peggio”; ma non ti godi mai il momento così, perché stai sempre lì a pensare o a quello che dovrà succedere oppure a quello che è già successo.
Intanto ti passa la vita davanti e tu hai fatto un passo verso la morte perché non l’hai vissuta.

I: Grandissima scoperta quella del Piotta e dell’ispirazione da Supercafone!
Riprendiamo con “Il Sopravvissuto”: l’Io protagonista e narrante, (che agisce in solitudine perché la collettività è più legata all’altro vostro lavoro, “Naufragio Universale”), si muove in un’atemporalità che è anche attualità. Storicamente, politicamente, socialmente, stiam messi mica bene. Che ruolo ha il tempo? È l’ancora o la dannazione?


Nico: Il tempo è fondamentale in questo racconto. Mentre nel “Naufragio Universale” si percorreva una direzione verticale, quindi si andava a fondo in un oceano per guardare a fondo le cose e, si scopriva che, andandoci volontariamente, si rinasceva, un po’ come una patata marcia e inutile apparentemente, ma da cui ricresce una nuova pianta, in questo racconto, nel Sopravvissuto, la linea è orizzontale, sulla superficie dell’acqua che però è lineare; ma si va poi a scoprire che non è così. Il tempo è in realtà a spirale, per cui anche nella musica si è tentato di inserire dei rimandi che creino questo vortice: alla fine del lato B si ritorna al lato A, c’è una simmetria tra lato A e lato B, per cui alla fine del lato A si sentono alcuni ritornelli o note che si ritrovano all’inizio del lato B; è una spirale sia del tempo, sia del percorso del protagonista. È un continuo ritornare sia ad errori che a situazioni; quando si ripercorrono, però, si è consapevoli di questo. Non è quindi una semplice ricorrenza, non si è stupiti, la si fa quasi volontariamente, e si ricorre anche all’errore volontariamente. Un po’ Nietzsche, no?! L’eterno ritorno.

I: So che l’autoproduzione è importante per voi. Una scelta, a detta tua, politica, perché in un momento come questo è un modo per potersi autogestire. Cosa condanni senza riserva in campo musicale? Quale atteggiamento, quali scelte?


 Nico: Mah, guarda, ho condannato tante cose ma non sono un giudice. Ti dirò quello che a me non piace e da cui mi tengo lontano. Mi tengo lontano da quelli che usano un certo tipo di underground - come potrebbe esser quello che c'è stato qui stasera, cose cioè fatte col sudore, senza nessun tipo di sovrastruttura artistico-istituzionale - come volpe e l'uva verso un mainstream, secondo la logica: il mainstream non mi vuole, vengo nell'underground così poi lo uso come trampolino di lancio. Il mio sogno sarebbe suonare come gruppo-spalla degli Afterhours, non ci posso suonare, allora mi butto nei centri sociali.
A me, tutto questo, non piace. Per me suonare nei centro sociali, suonare, non so, alla Masseria Foresta di Crispiano - dove fanno l'olio, che sono DIY nel modo di vivere - è una scelta politica; è una scelta politica andar lì piuttosto che in un posto dove c’è SIAE, in un posto dove magari giran più soldi per i gruppi. Questa cosa del denaro non è assolutamente il motivo per cui si va a suonare, né una cosa fondamentale, eh. Anzi, la monetizzazione rovina la musica; l’inserimento in un mercato rovina la musica; siccome per piacere alla maggior parte delle persone, bisogna piacere ad una maggioranza, di solito la maggioranza che io abbia visto, è stupida. Ogni volta che la maggioranza si esprime, esprime delle cose discutibili dal mio punto di vista. Oggettivamente, la musica che piace a me, dev’esser musica per una minoranza. Da una parte condanno questo. Dall’altra c’è il valore di un gruppo, in relazione anche a questo: il valore di un gruppo non è dato meramente dal valore musicale; è il risultato di una frazione: “quanto son bravi” fratto “quanto se la tirano”. Perciò se c’è un gruppo molto bravo ma che si fa “il viaggio” di esser i grandi musicisti di ‘sto cazzo, per me il risultato è negativo. Se ad esempio, valgon 5 e se la tirano 7, 5/7 è minore di uno. Prendiamo invece un gruppo di giovani acerbi, che hanno ancora da imparare, però molto umili, DIY, con uno spirito giusto: per me la loro frazione è positiva. T’arrivo a dire che quasi quasi non me ne frega della musica, ecco.

I: Quando ho recensito il disco, non ho voluto paragonare il Naufragio a quello di Ulisse, quindi alla mitologia, perché l’ho letto e ascoltato in una dimensione molto personale, poco eroica. Il Sopravvissuto è impegnativo come disco, credo unisca più materiale: quello letterario (perché potrei benissimo paragonarlo ad un libro), quello musicale, quello artistico (perché l’artwork è sostanzialmente perfetto e adeguato, e per me è un’opera d’arte senza riserve, sia nelle parti che ripropongono il diario di bordo, sia in quelle più ovvie, che presentano i testi).
Quanto conta l’estetica della musica? Presentare un “lavoro” così, quanto è utile?


Nico:
 Guarda, ci sono vari momenti in questo lavoro, come lo chiami tu. Ma preferisco pensare al lavoro in riferimento non so, a quello del muratore. A me piace chiamarlo Disco. Sai quando i gruppi si chiamano “progetto”? Parliamo di un Disco di Musica, dove ci sono: parole, musica, disegni.
La parole sono mie. Ed il percorso è parecchio personale. La musica è di un gruppo intero di persone, che comprende anche chi non suona più con noi, perché ci sono frammenti di pezzi risalenti anche a 6-7anni fa. I disegni sono parte di un percorso ulteriore, e sono di Robert, il ragazzo che cura le grafiche. Lui riscrive la storia in immagine, e quando la riscrive, questa storia cambia. Cambia in generale, perché ci sono aspetti che io non conoscevo di questa storia e che vengon fuori attraverso i suoi disegni. Ci sono aspetti nuovi che per esempio, mi illustri tu, dopo l’ascolto, con le tue domande e “lettura” della storia, ci sono aspetti che vengon fuori con l’esperienza personale di tutte quelle persone che hanno avuto in mano il disco e l’hanno guardato, ascoltato, ricostruendo frammenti attraverso la loro esperienza personale. Quando ricevo un feedback da questa ricostruzione del lettore, dell’ascoltatore, la storia, per me, nasce di nuovo. Nel momento in cui l’ho registrata era morta, perché le era stata messa un punto, l’avevo registrata, non potevo ritornare in sala di registrazione e cambiarne un pezzo. Ma ogni volta che vedo, vediamo, una situazione del genere e parliamo con le persone - le persone come voi, come te o chi con recensisce il disco o lo compra e magari mi scrive: “c’ho visto questo o quest’altro”- per me, la storia nasce di nuovo e io vedo nuovi aspetti. Perciò per me attraverso tutto questo, tutto muore e rinasce.

I: Wow. Ok, ultima domanda: Il mare è anarchia, libertà, smarrimento. IL fallimento è invece l’approdo. Ma DOPO cosa c’è, per il Sopravvissuto e per i Marnero?


Nico: Eh, cosa c’è?! Questa parola, “dopo”, in questa visione un po’ nichilista, non ha una conseguenza, una causa. Non c’è un costruttivismo del Dopo. Non c’è una storicità, si ripeterà un atto, si scivolerà su un altro errore, si farà un’altra cazzata. Però noi andiamo avanti in un percorso nostro che coinciderà con la scrittura di un altro disco. Questo nuovo disco, dal mio punto di vista, andrà ad analizzare la mancanza prima del Sopravvissuto: palesemente il rapporto di questo IO con gli altri, gli altri non ci sono. Una storia abbastanza lunga in cui non c’è nessun altro oltre a lui, tranne che al suo funerale. Una situazione onirica e surreale.
Quindi, se leggiamo il Sopravvissuto, o più intelligentemente leggiamo magari“l’Unico e la sua proprietà” di Max Stirner, dobbiamo porci il problema della sua relazione con gli altri. Con gli altri prima o poi, ci dovrà vivere. Questo cazzo di Sopravvissuto, prima o poi, dovrà incontrare qualcuno; anche se si è liberato da un sacco di catene, da cose, da robe, prima o poi si deve interfaccia’ con altri; altrimenti vai in Alaska, e muori con gli orsi. Ma ci sei comunque, tra la gente.
Penso proprio che affronteremo tutto questo nel prossimo disco, sì.

I: Grazie di tutto, Nico.
Nico: Grazie a te, a voi.

Abbracci vari e commozione.









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